martedì 23 giugno 2015

La notte delle streghe

Salomè e S. Giovanni
(Bernardino Luini)
Il solstizio d’estate è sempre stato un giorno speciale, oggetto di particolari celebrazioni. Nel mondo romano il 24 giugno era il giorno in cui si celebrava Fors Fortuna, la dea del destino, della prosperità e della felicità; a lei il re Servio Tullio dedicò un tempio situato al primo miglio della via Portuense. I suoi attributi erano il timone, il globo, la ruota, la cornucopia, il modius, la prua di nave e il caduceo. Nel mondo cristiano il 24 giugno è invece il giorno in cui viene ricordato Giovanni Battista, l’ascetico predicatore che battezzò Gesù. La morte di Giovanni è legata alla figura di Erodiade (la storia è raccontata nei Vangeli di Marco e Matteo), la principessa giudaica che abbandonò il marito per andare a convivere con il cognato (Erode Antipa). Giovanni condannò questa scelta e pagò con la vita le sue critiche, infatti, Erode lo fece imprigionare e decapitare (su richiesta di Salomè, figlia di Erodiade). 

La festa di S. Giovanni
(Ettore Roesler Franz)
La notte che precedeva la festa di S. Giovanni era conosciuta come “la notte delle streghe”. Secondo la tradizione popolare, durante la notte del 23, gli spiriti di Erodiade e Salomè (le cattivone responsabili della morte di Giovanni Battista) volteggiavano sui prati intorno alla basilica del Laterano. Ma siamo a Roma, e allora a tutto c’è rimedio; i cittadini che affluivano in massa nell'area della chiesa scacciavano gli spiriti maligni a suon di "pernacchie", mentre quelli più “scientifici” appendevano al collo una forcina oppure un capo d’aglio. Il colpo di grazia ai diabolici spiriti veniva assestato mangiando l’animale più simile al demonio: la cornutissima lumaca. L’assalto al povero invertebrato, cucinato in tutti i modi possibili, avveniva sui prati intorno alla basilica oppure nelle osterie della città. E poi bevute, cantate e tanta allegria, alla faccia del maligno.

giovedì 11 giugno 2015

I quattro leoni della fontana dell'Acqua Felice

Fig. 1 - La fontana dell'Acqua Felice
in un'incisione di Piranesi.
Nel 1590 l’architetto Domenico Fontana descrisse in una sua pubblicazione (Transportatione I) la fontana dell’Acqua Felice (1587), da lui disegnata per Sisto V, collocata all'angolo con la Strada Pia (fig. 1): “è tutta di travertino con quattro colonne di marmo, al piede delle quali sono messi quattro leoni antichi che gettano acqua per bocca; due di loro sono di porfido bigio pietra durissima, che somiglia al granito orientale, ma è molto più dura, e si sono levati dinanzi al Pantheon … gli altri due sono di marmo statuario, e stavano di qua e di là della porta di S. Giovanni in Laterano.” 

Fig. 2 - Lo stemma di Sisto V
e della famiglia Peretti.
Perché il papa scelse di decorare le vasche della fontana con quattro leoni? Innanzitutto perché il leone era rappresentato nello stemma familiare (fig. 2), inoltre, bisogna sempre ricordare che Sisto V era afflitto da un grande complesso di inferiorità verso il suo predecessore, l’erudito Gregorio XIII (1572-1585), che lo aveva di fatto emarginato dalla corte papale.  Nei cinque anni del suo pontificato Sisto V (1585-1590) cercò in tutti i modi di farsi notare, esibendo una villa enorme (Villa Montalto), spostando obelischi come fuscelli, demolendo monumenti antichi per realizzare fontane (Septizonio); cercò perfino di far rimuovere (senza riuscirci) da piazza del Popolo la fontana di Giacomo Della Porta (fig. 3), fatta costruire – per l’appunto -  da Gregorio XIII (per ironia della sorte il rancoroso progetto di Sisto V fu poi realizzato nel 1823, quando Valadier sostituì la fontana di Gregorio XIII con un’altra, decorata con i quattro leoni tanto cari a papa Peretti). 

Fig. 3 - La fontana di piazza del Popolo
realizzata da Giacomo Della Porta;
attualmente è in piazza Nicosia (Falda).
Tornando ai leoni dell’Acqua Felice, quelli in porfido bigio scuro, antichissimi (IV secolo a.C.), provenivano dall’Iseo Campense, da dove furono spostati, forse nell’Alto Medioevo, per essere trasportati di fronte all’ingresso del Pantheon (fig. 4). Tale spostamento fu determinato sia dall'abitudine - tutta medievale - di “proteggere” l’ingresso della chiesa con una coppia di leoni (nel VII secolo il Pantheon era stato adattato al culto cristiano e trasformato nella chiesa di S. Maria ad Martyres) sia dal desiderio di abbellire il luogo con una piccola collezione d’arte (insieme ai due leoni sono visibili nel disegno due vasche provenienti dalle vicine terme). 

Fig. 4 - I leoni di fronte al Pantheon
in un disegno del XV secolo.
All'inizio del XIII secolo l’inglese magister Gregorius, descrivendo la piazza di fronte al Pantheon (De mirabilibus urbis Romae), raccontò come i leoni stessero insieme a “vasi ed altre statue della medesima pietra”; lì restarono (in pace) fino al 1587, quando Sisto V li utilizzò per la sua Mostra. Nel 1839 papa Gregorio XVI li tolse dalla fontana per collocarli in Vaticano, nel nuovo Museo Gregoriano Egizio (fig. 5). Al loro posto furono inserite delle copie. Gli altri due leoni della fontana, quelli in “marmo statuario” (di fattura medievale), furono prelevati dall'ingresso laterale della basilica di S. Giovanni in Laterano. 

Fig. 5 - Uno dei leoni del Pantheon,
oggi nel Museo Gregoriano Egizio.
(foto Marco Gradozzi)
Nel 1839 Gregorio XVI sostituì anche loro, trasferendoli nel palazzo del Quirinale, dove rimasero sicuramente fino al 1911. La loro ubicazione attuale non è certa ma è possibile che siano quelli attualmente custoditi a Villa Borghese, nel deposito sotterraneo del Museo Pietro Canonica (fig. 7).

Fig. 6 - I leoni di S. Giovanni in
Laterano, oggi nei sotterranei del
Museo Pietro Canonica.

lunedì 8 giugno 2015

Magnanapoli perché?

rosso-largo Magnanapoli
giallo (alto) - Torre delle Milizie
giallo (basso) - Torre Colonna
(foto Google Earth)
Largo Magnanapoli è uno di quei luoghi di Roma dove non ci si ferma mai, soprattutto perché la piazzola al centro funge da rotatoria per le auto, perciò a malapena ci si sofferma a guardare l’aiuola oppure i filari superstiti delle Mura Serviane. E poi c’è Magnanapoli, nome assolutamente insensato e incomprensibile. La genesi di questo toponimo è veramente bizzarra e risale a uno dei momenti più tristi della storia della nostra città. Alla fine della lunghissima guerra tra Bizantini e Goti (535-553) Roma era ai minimi termini; tra assedi, carestie e pestilenze la popolazione si era enormemente ridotta. I Goti erano stati sconfitti, tuttavia, un nuovo nemico si profilava all’orizzonte: i Longobardi (568). Secondo un’ipotesi verosimile (Enzo Valentini, La Torre delle Milizie) le milizie bizantine dell’imperatore Tiberio Costantino (578-582) avrebbero costruito sulle propaggini del Quirinale (dove ora c’è la gigantesca Torre delle Milizie) una cittadella fortificata (Nea Polis), utilizzando in parte i resti delle Mura Serviane. Col passare degli anni le milizie bizantine furono sostituite dalla leva locale; questa veniva reclutata (probabilmente) in prossimità della cittadella, attraverso un bando di arruolamento (il cosiddetto bannum). Ecco quindi le tre parole che sono all’origine del nostro toponimo: Bannum Nea Polis. In seguito, a causa delle trascrizioni amanuensi, il toponimo fu corrotto in Balneapolim, Neapolim, Valneapolis, Bagnanapoli fino ad arrivare all’attuale Magnanapoli. Nel XIII secolo la cittadella fortificata conobbe una nuova fase edilizia grazie alla costruzione di varie torri, fra cui l’enorme Torre delle Milizie e la cosiddetta Torre Colonna (all’angolo tra via delle Tre Cannelle e via IV Novembre). La vicina chiesa dedicata ai santi Domenico e Sisto (largo Angelicum) è stata costruita sul luogo dell’antica chiesa medievale dedicata a S. Maria Balneapolim.